L’arte entra nel futuro, grazie (anche) alla Realtà Aumentata
Capita a volte che le ambizioni siano limitate dalle risorse a disposizione, ma capita anche, al contrario, che ci si trovi per le mani strumenti tanto innovativi e potenti da non sapere bene come usarli.
Dalla fine degli anni dieci del 2000, da quando l’AR, la Realtà Aumentata, si è affacciata sul mercato la prima volta, il mondo dell’arte ha osservato con interesse questa nuova tecnologia, senza però trovare una applicazione davvero degna delle sue potenzialità. Per molto tempo, la AR è stata relegata a puro accessorio informativo all’interno di musei, gallerie e fondazioni.
Negli ultimi anni, però, colossi come Meta, Snapchat e Google hanno improntato un’evoluzione esponenziale a questa tecnologia, di fatto spostando con prepotenza il mercato sulla Realtà Aumentata che, assieme alla sua “cugina” la Realtà Virtuale, è diventata la materia prima su cui costruire la El Dorado del ventunesimo secolo: il metaverso.
Con il lancio di Meta a fine 2021, anche musei, gallerie e fondazioni si sono riaffacciati con rinnovato interesse al mondo della Realtà Aumentata, alle sue infinite possibili applicazioni alle opere d’arte e ai luoghi che le ospitano.
Già oggi abbiamo numerosi e vari esempi dei modi in cui l’AR si è integrata con l’arte e con i musei, espandendone i contenuti, trasformando le visite in esperienze interattive, dando nuova vita ad opere e reperti esposti in una commistione unica di antico e nuovo, di preistorico e futuribile, di umanistico e tecnologico. Proviamo a vederne insieme qualcuno.
Il primo e più semplice uso della AR all’interno dei musei è stata un’espansione virtuale della narrazione offerta dalle classiche audioguide, aggiungendo materiale audiovideo, ricostruzioni e perfino esperienze di gaming alla spiegazione delle opere esposte, della loro storia, della vita e del pensiero dell’artista dietro di esse.
Esistono anche versioni più immersive di questo tipo di esperienza, creando ad esempio una versione 3D e digitale dell’artista accanto al proprio lavoro, quasi un ologramma che possa interagire direttamente con gli utenti mostrando il proprio lavoro, la propria tecnica, perfino rispondendo alle domande del pubblico. Se quest’ultima possibilità può sembrare fantascienza, basti pensare che al Museo Egizio del Cairo il sistema è già stato implementato, e i visitatori si troveranno come guida d’eccezione nientemeno che Tutankhamon, pronto a svelare le meraviglie del suo Antico Egitto ai turisti.
Per i più piccoli (ma non solo) è possibile anche usare l’AR per percorsi-gioco didattici all’interno del museo. È il caso, per esempio, del Palazzo Carvalhal a Funchal, in Madeira, dove i piccoli avventori sono invitati ad una vera e propria caccia ai fantasmi sul modello di Pokémon GO!, con le spettrali apparizioni pronte a raccontare la propria storia e quella del palazzo una volta scovate tra sale e corridoi.
Non sempre un’opera può essere effettivamente trasportata nella sede del museo, ma l’AR dà modo comunque di esporla con un rendering tridimensionale a disposizione del pubblico. Ad Amatrice, dopo il disastroso terremoto del 2016, la Diocesi di Rieti ha aperto un museo virtuale in cui poter esporre “controfigure digitali” delle opere distrutte o danneggiate dal sisma, un efficace strumento per dare nuova vita ad una bellezza ferita, da una parte, e raccogliere fondi per il restauro delle opere reali, dall’altra. In chiave più ironica ma non meno efficace, il Museo Nazionale delle Belle Arti di Lettonia, a Riga, ha creato una esposizione con alcuni dei massimi capolavori dell’arte mondiale, tutti presenti però “in spirito” in una sala vuota, e visibili attraverso l’AR.
Le stesse opere possono essere modificate senza alcun danno, animate o anche ri-animate, come è successo ai fossili del Museo di Storia Naturale di Parigi o, più vicino a noi, del Museo delle Scienze di Trento. Inquadrando i giganteschi scheletri fossilizzati di animali preistorici, l’AR ne ricrea le sembianze e li anima, in un vero e proprio Jurassic Park virtuale.
Compito primo delle gallerie d’arte è quello di mostrare e far conoscere i lavori di artisti noti ed emergenti, e mettere in contatto collezionisti ed acquirenti con le opere. La AR dà l’opportunità di portare l’intero catalogo della galleria letteralmente nel salotto di casa del potenziale compratore, che potrà “provare” come starebbe un Modigliani sulla parete dello studio, o un Rodin in giardino.
Questo tipo di rendering 3D delle opere offre la possibilità di superare ogni limite di spazio e distanza, estendendo i canali di vendita e coinvolgendo un pubblico incredibilmente più ampio. La tecnologia avvantaggia anche i singoli artisti, che possono creare un portfolio digitale in AR che restituisca le effettive dimensioni, forme e colori delle proprie opere come fossero già esposte.
Le fondazioni possono ovviamente usufruire di tutti gli strumenti citati per i musei, con visite, esposizioni ed esibizioni rese più dinamiche e interattive, ma traggono un ulteriore vantaggio dall’AR per quanto riguarda i propri archivi e depositi.
Molte fondazioni sono limitate nelle possibilità espositive dalla mission di conservare opere, scritti autografi, manoscritti anche fragili e delicati, che non resisterebbero al contatto diretto col pubblico. Attraverso l’AR, finalmente, interi depositi possono essere offerti allo sguardo e allo studio dei visitatori senza rischiare di danneggiare gli originali, riaprendo un dialogo tra gli appassionati e alcune opere troppo a lungo chiuse negli archivi.
Via via che progredisce la tecnologia e diventa di uso comune, appare sempre più chiaro che la Realtà Aumentata non è nemica di arte e cultura, anzi, è un utile strumento ad una sua fruizione più ampia. Se è vero che “la bellezza salverà il mondo”, un nuovo linguaggio che permetta all’arte di farsi sentire anche nell’era digitale è un’occasione semplicemente troppo preziosa per non essere colta.